Quando iniziare a portare in fascia?

Portare in fascia è un’arte.
Una modalità di relazione, di cura e di amore.

A volte è un salva vita.
Altre volte un salva cena.
Altre ancora è pure un salva “sanità mentale” delle mamme.
E’ inoltre una dolce strategia per accogliere il bisogno di contatto dei bimbi e delle mamme.
(Sì, perché diversamente da quanto si crede anche i genitori possono avere il bisogno e il piacere di stare vicini ai loro bambini)

Tra le domande che più spesso mi arrivano c’è:
“Quando posso iniziare a portare in fascia?”.

E la risposta è spesso e volentieri: Mettiti in ascolto di te, potrai farlo QUANDO SEI PRONTA!
“In ascolto? E di chi? Di cosa? Con un neonato? Con la stanchezza che provo? Come faccio? Cosa vuol dire essere pronta?”

Ebbene, domande lecite.
Vediamo quindi qui di seguito cosa intendo.
Ma intanto ve lo anticipo: il tempo giusto per iniziare a portare è variabile da donna a donna, da mamma a mamma.
Importantissimo è che:

  • non vi sia fretta di farlo
  • ogni mamma porti l’attenzione con auto-responsabilità e cura al suo corpo
  • ogni mamma rimanga quanto più possibile fedele ai propri tempi e modalità, concedendosi lo spazio per sperimentare sè stessa nel ruolo di madre e per conoscere il proprio piccolo in modo onesto, slegato da preconcetti e aspettative

Per capire meglio cosa intendo e per scendere nella pratica i due elementi imprescindibili su cui focalizzarsi sono a mio avviso i seguenti.

1. Il perineo e la ripresa del corpo

Spesso e volentieri dimenticato ed escluso, il perineo è una struttura muscolare, anatomica, funzionale, posturale, emotiva ed energetica molto complessa e importantissima per la salute globale della donna.
Dopo gravidanza e parto, poiché fortemente sollecitato da questi due eventi, il perineo ha sempre (senza se e senza ma) bisogno di un suo tempo di recupero.

Questo tempo, che può essere variabile da donna a donna, dipende da numerosissimi fattori come la salute pregressa del perineo, il decorso della gravidanza, il tipo di parto (cesareo, naturale, con ventosa, con episiotomia ecc…), la consapevolezza e percezione che la stessa donna ha di questa sua zona del corpo.

E cosa centra il portare con il perineo? – vi chiederete.
O ancora: non è forse meglio il sostegno di un supporto come la fascia che la fatica delle braccia per il corpo materno?

La risposta è controversa e si trovano pareri estremamente discordanti a riguardo.
Per la mia esperienza di Ostetrica e Istruttrice Portare i Piccoli posso dire che attendere qualche tempo prima di portare in fascia è ad iper vantaggio per il perineo.

Un neonato in fascia infatti “appoggia” fisiologicamente il suo peso oltre che sulla fascia anche su spalle, torace, zona lombare, bacino e pavimento pelvico.
Seppur in modo distribuito e tendenzialmente ben sostenuto, una parte del peso del piccolo grava inevitabilmente a livello perineale.
Ciò accade molto meno se il piccolo è semplicemente in braccio perché il suo peso coinvolge sì le strutture appena citate, ma è sostenuto in gran parte dalle braccia.
Inoltre, accade fisiologicamente che in fascia la gestione del peso sia statica e vada ad appoggiarsi in modo costante sugli gli stessi punti; tenendo il piccolo in braccio invece la postura è più dinamica, si aggiusta e si modifica costantemente, il corpo si muove in modo pressocché continuo andando talvolta a sollecitare meno il perineo.

Sensazione di peso, tensioni o dolori a livello vaginale e vulvare, presenza di punti di sutura, incontinenza, lacerazioni importanti o episiotomia sono solo alcune delle condizioni per cui è consigliabile attendere prima di portare in fascia e per cui è fondamentale eseguire prima una valutazione del pavimento pelvico.

So che spesso portare è una necessità: ci sono tante cose da fare in casa, ci sono fratelli più grandi di cui occuparsi, la vita va veloce e non accoglie con facilità i lenti tempi di madri e bambini in puerperio.
Tuttavia non dimentichiamoci che il corpo, dopo il grande lavoro della gravidanza e del parto, ha dei tempi di recupero (mi ripeto lo so!) che è importante rispettare al fine di stare bene a lungo termine.

2. Prendere confidenza con il piccolo e con i nuovi ritmi di vita

Ogni cucciolo d’uomo nasce dotato di infinite competenze, ogni madre allo stesso modo accoglie il suo bambino con un bagaglio di esperienze e capacità impensabili.
Tuttavia questo processo non è subito facile e chiaro! Il cammino verso equilibrio e armonia si compie con calma.
Sottovalutato dalla nostra società, ma tipico e fondamentale nel dopo parto è il tempo della lentezza.
E’ importante: consente di stare nella conoscenza attenta e partecipata, nell’avvio dell’allattamento, nell’adattamento, nell’uso delle mani e delle braccia, nella corporeità.
E non è male che avvenga con un uso scarso o comunque ponderato di “mediatori” come fasce o supporti.

Non condanno l’uso precoce di una fascia, ovviamente tanto dipende dalle necessità e dalle dinamiche soggettive della famiglia, ma sostengo con molta forza il non-fare, soprattutto a pochi giorni o settimane dal parto.
Talvolta accade che mettere i bimbi in fascia per le mamme possa equivalere a “fare,” “muoversi”, “ripartire”. Cose giustissime e super positive, ma solo se non portano a sforzo fisico, psicologico, emotivo.

So che questa posizione troverà molte perplessità, per la maggior parte delle mamme le prime settimane di vita sono estremamente complesse e faticose. E altrettanto spesso è una reale esigenza quella di trovare una strategia efficace.
Tuttavia, lo dico davvero con il cuore, datevi tempo!

Tempo di capire, realizzare, di iniziare a conoscervi nel ruolo di genitori.
Date tempo ai vostri bambini di esprimere chi sono e come sono, di comunicare i loro bisogni, di sperimentarsi nella vita fuori dall’utero.
Datevi tempo per gestire la fatica, il pianto, la crisi. Tempo per attivare risorse vostre, endogene.
Tempo per usare le braccia e gli abbracci.
Per il divano e il letto.

La fascia troverà facilmente la sua collocazione nella vostra dinamica anche dopo qualche settimana di vita assieme.
E se proprio non potete attendere, chi sono io per dire di non portare?
Fatelo, ma fatelo con consapevolezza, attenzione, cura.
Non per “negare” il cambiamento, ma per sostenere il vostro benessere.
Con criterio, concedendovi sempre ascolto e rispetto.

Terzo trimestre: hai detto nesting?

Tra i fenomeni più tipici del terzo trimestre di gravidanza, al pari delle pipì frequenti e degli indurimenti della pancia, c’è il nesting.

Dall’inglese (che fa figo) “to nest” che significa proprio “fare nido”, “costruire il nido” questo termine fa riferimento alla tendenza che gran parte delle donne in attesa ha di preparare luoghi, condizioni e oggetti per accogliere il proprio bambino.

Le nostre nonne e mamme lo chiamano proprio “la sindrome del nido” e lo associano, con semplicità di termini, a quel preparare, predisporre, organizzare, riorganizzare tipico degli ultimi mesi di gestazione e delle settimane prima del parto.

Ma preparare e predisporre cosa?

Tutto!
Sì, proprio tutto.

Spazi, ambienti, stanze.
Oggetti, corredino, vestiti, pannolini, seggiolini.
Anche sé stesse, se dobbiamo dirla tutta.
Perché legato al nesting c’è anche la preparazione che ogni donna compie in un senso più profondo.
Magari iniziando a pensare alla nascita e raccogliendo nozioni sui luoghi in cui è possibile partorire. O iscrivendosi ad un corso per raccogliere informazioni aggiornate e fare rete con altre mamme in attesa.

Non è insolito vedere le donne verso il terzo trimestre incuriosite da ciò che avverrà.
Molte iniziano a leggere libri, a raccogliere in modo approfondito informazioni sull’epidurale, altre magari cercano studi e indicazioni per le tecniche non farmacologiche da usare in travaglio. Alcune si iscrivono ad un corso per gestanti in piscina, altre iniziano a sentire il bisogno di un appuntamento tutte le settimane con un’ostetrica per lavorare su corpo, cuore e mente in preparazione al parto e al dopo.

Insomma, nesting è dunque fare nido. Ed è, in senso decisamente ampio.
E’ un disporre e preparare il bagaglio per la nascita.
Che, nonostante quel che si pensa non è solo di natura materiale, ma tutto può comprendere: dalle informazioni all’occorrente, passando per strategie, cura di sé, oggetti e stanze, apertura emotiva e altro.

Perché avviene?

E’ tutta colpa loro, ancora!
Sono gli ormoni.
Che ci piaccia o no siamo mammiferi e siamo guidati da dinamiche neurovegetative e ormonali che influenzano il nostro comportamento.
Non lo sapevate?
Gli ormoni non hanno effetto solo sul corpo e sulle risposte fisiologiche/biochimiche/funzionali del nostro organismo.
Esplicano effetti visibilissimi anche sulla psiche, sul comportamento, sui bisogni, sull’emotività, sull’affettività di ogni essere umano.

Prolattina e ossitocina, i soggetti in questione quando parliamo di nesting, sono molto presenti nel terzo trimestre e sempre di più verso il termine di gravidanza.
Esercitano importanti funzioni sulla dinamica psico-emotiva e comportamentale della mamma per renderla pronta all’evento del parto e alle fasi successive.
Preparare, predisporre e nidificare sono proprio una conseguenza di questa combo ormonale. La necessità di organizzare attorno a sé idem.
Per poter partorire fisiologicamente e positivamente la mente e il corpo della donna devono essere a proprio agio. Sapere che tutto è pronto mette dunque il corpo e la mente della donna in una condizione maggiormente favorevole.

Spesso nemmeno ci rendiamo conto e negli ultimi tempi facciamo tutto, dal prendere appuntamento dal parrucchiere, al pulire a fondo casa dicendoci “meglio ora che dopo”, oppure giustificando con “e chi avrà più tempo poi?”.
La tendenza a sistemare tanto noi stesse quanto quello che abbiamo attorno è davvero un forte bisogno che ci aiuta a sentirci a posto.
In poche parole: pronte a vivere il processo della nascita con più facilità, consapevoli che il resto ha una sua collocazione (più o meno!).

Ultime cose, ma non meno importanti sono quelle che riguardano la sfera emotiva: prolattina e ossitocina oltre a regolare i processi di nesting sono responsabili della preparazione materna alla relazione, predispongono all’accudimento, favoriscono l’amore e l’affettività tipica del dopo parto, guidano quella tendenza materna volta al prendersi cura, alimentano la dimensione empatica.

E dunque: nesting sia!
E’ tutta salute.
Buon Nido a tutte le mamme!

Aromaterapia: un possibile sostegno alla Nascita

Questo è un articolo un po’ diverso dal solito.
Qui nel mio blog, infatti, ho sempre scritto in termini professionali e molto poco personali. Questa volta tuttavia farò un’eccezione (forse la prima di una lunga serie? Chissà!) per portare un’esperienza che è innanzitutto mia.

Di cosa si tratta? In breve, di come sto cercando di usare l’aromaterapia a sostegno della nostra imminente nascita!

Avvicinandomi al parto, preparando il nido in cui accoglierò il mio bimbo e cercando possibili strategie per il mio travaglio sono infatti approdata (nuovamente!) nel grande mondo degli oli essenziali.

L’aromaterapia esercita su di me un potentissimo fascino da diversi anni. Nel tempo ho studiato e sperimentato parecchio tanto nella mia pratica personale, quanto in quella lavorativa e non poche volte ho avuto modo di osservare i grandiosi benefici degli oli essenziali.

In queste ultime settimane, in particolare, trovandomi con molto più tempo a disposizione e bisognosa di preparare tutto ciò che può essermi utile ho predisposto con amore e dedizione un piccolo kit di aromaterapia con oli essenziali e miscele da me scelte.

Qui di seguito troverete quindi una (umile) lista di ciò che ho selezionato per la nostra nascita con le relative e specifiche funzioni.


Ci tengo però, prima di addentrarmi ulteriormente nel tema, a precisare che:

  • quello che riporto viene dalla mia esperienza personale e professionale e dal confronto con una delle mie naturopate di fiducia.
  • l’uso che ad oggi faccio degli oli essenziali e dell’aromaterapia è personalissimo e sotto la mia totale e diretta responsabilità.
    Ho avuto modo di utilizzare alcuni oli anche con donne in gravidanza e al parto, sotto loro indicazioni e sempre con il loro consenso. Le ringrazio di cuore, perché l’esperienza che mi hanno consentito di fare in questo momento torna utilissima a me.
  • chiunque voglia avvicinarsi al mondo dell’aromaterapia può farlo, perché è davvero bellissimo! Ma possibilmente rivolgendosi ad esperti e soprattutto facendo un’attentissima e ponderata scelta dei prodotti da usare. Non tutto ciò che è sul mercato è di buona qualità e tanto gravidanza quanto poi con i bambini meglio avere un occhio di riguardo.

Concluse le noiose ma necessarie raccomandazioni vi racconto dunque cos’ho preparato sperimentando, osservando, confrontandomi, studiando, annusando.
E divertendomi! Soprattutto quando era il momento di scegliere il nome della miscela.


Miscela Contrazioni +:

  • Composizione: oli essenziali di cannella, chiodi di garofano, zenzero, arancio
  • Modalità di utilizzo: poche gocce diluite in olio vettore (cocco, mandorla o jojoba) per un massaggio all’addome o alla schiena.
    Nel diffusore per sfruttare la via inalatoria.
  • Funzioni e benefici:
    – Favorire l’insorgenza del travaglio in presenza di segni di termine di gravidanza
    – Sostenere la dinamica contrattile uterina
    – Rafforzare le contrazioni del travaglio se deboli, sporadiche o nelle fasi prodromiche molto lunghe

Miscela Stai Calma

  • Composizione: oli essenziali di lavanda, mandarino, geranio (volendo si può aggiungere ylang-ylang, se non dà fastidio il suo odore molto dolce)
  • Modalità di utilizzo: poche gocce diluite in olio vettore (cocco, mandorla o jojoba) per un massaggio alla schiena, alla zona sacrale, alle gambe e ai piedi. Nel diffusore per sfruttare la via inalatoria.
    Qualche goccia diluita nell’acqua della vasca del parto
  • Funzioni e benefici:
    – Favorire il rilassamento
    – Favorire la distensione del corpo e della mente
    – Sostenere lo stress psico-fisico del travaglio
    – Migliorare la dinamica contrattile se troppo intensa o incalzante
    – Supportare l’umore in puerperio o nelle prime stancanti fasi della vita da neomamma
    -Diluito in olio per un massaggio rilassante al neonato

Miscela Femme Fatale:

  • Composizione: oli essenziali di salvia sclarea, lavanda, geranio, finocchio
  • Modalità di utilizzo: poche gocce diluite in olio vettore (cocco, mandorla o jojoba) per un massaggio a schiena, gambe, addome.
    Nel diffusore per via inalatoria.
    Qualche goccia sui polsi e sotto ai piedi
  • Funzioni e benefici:
    -Favorire l’espressione delle competenze corporee e psichiche femminili
    -Rilassare e distendere
    -Sostenere la funzionalità ormonale in travaglio
    -Sostenere la donna durante i cambiamenti ormonali del puerperio e delle prime fasi dell’allattamento

Miscela Programma Pancia Piatta:

  • Composizione: oli essenziali di menta, lavanda, limone, arancio, zenzero
  • Modalità di utilizzo: poche gocce diluite in olio vettore (cocco, mandorla o jojoba) per un massaggio all’addome, in particolare alla zona pelvica.
  • Funzioni e benefici:
    – Tonico uterino, utile per favorire la regolare involuzione dell’utero dopo il parto e la tonicità dei tessuti addominale
    – Tonico dell’umore, in caso di stanchezza e spossatezza mentale.


Come ho già detto a qualcuno: non so come andrà, ma sarà profumato!

Buona Nascita a noi!

Aptonomia: incontrarsi attraverso il pancione

Comunicazione e relazione intrauterina

Sembra un nome difficile.
Aptonomia.
Una tecnica?
Uno strumento?
Poco conosciuta in Italia fino ad ora, sta negli ultimi tempi prendendo sempre più spazio.

Ma vediamo meglio: che cos’è L’aptonomia?
Ideata a metà del 1900 da un’idea di Frans Veldman, l’Aptonomia consiste proprio nel costruire un legame con il proprio bambino in epoca prenatale.

In che modo?
Facile, attraverso le mani!
L’aptonomia non è altro che una modalità di entrare in relazione con i bimbi nella pancia attraverso il tocco, il contatto, accompagnati da cura, attenzione, intenzione.

Ebbene sì, avete capito bene, relazione e contatto prima che il piccolo nasca!
E’ proprio questo uno degli obiettivi maggiodi dell’aptonomia, ossia quello di aiutare i genitori ad entrare già durante la gravidanza in una dinamica positiva con il bambino, capire come si muove, instaurare con lui un dialogo attraverso il pancione.

Perché questo accade?
Avete mai fatto caso che spesso sembra che i bambini in utero sappiano rispondere?
Se stimolati da alcune persone attraverso il tocco del pancione talvolta si fermano, se toccati da altri si muovono.
In alcuni casi addirittura è evidente una forma di dialogo. Toccando o premendo leggermente su una zona il piccolo risponde con un movimento o un calcetto proprio lì. Spostando altrove il tocco il bimbo pare seguire la mano manifestandosi nel secondo punto in cui è stato toccato.
Questo accade perché il tatto è il primissimo senso che raggiunge un buon livello di maturazione durante la vita intrauterina. E pertanto per i piccoli è molto facile fare esperienze positive di scambio, coccola e comunicazione proprio mediante questo senso.

Poca tecnica, molto amore

L’aptonomia può essere utilizzata anche come una coccola che, tra le varie cose, apporta numerosi benefici alla salute.
E’ ormai dimostrato infatti che abbracci, carezze e tutti i gesti d’amore che mamma e papà dirigono verso il piccolo sono in grado di generare in lui sensazioni positive. Tanto dopo, quanto prima della nascita!
Ciò accade perché queste coccole seppur ritenute banali o semplicemente romantiche sono in reatà, da un punto di vista biochimico, molto importanti. Sono infatti in grado di favorire la produzione di ormoni e neurotrasmettitori positivi fondamentali per il grande lavoro di crescita e sviluppo che il bimbo compie in utero prima di venire al mondo.
E’ scientificamente provato ormai: per un bimbo sentirsi amato, ben voluto e accolto fa proprio bene, in termini di salute!
Ma non solo: il contatto con il pancione è capace di attivare il piccolo e stimolarlo a muoversi, cambiare posizione, accrescere le sue competenze motorie.

L’aptonomia, come già detto, è utile a costruite fin dai primi mesi di gravidanza uno scambio efficace genitori-bimbi e una relazione efficace fondamentale durante il parto e nel dopo nascita.
E’ infatti chiaro e osservabile che quanto più la madre e il cucciolo in utero hanno stabilito un legame affettivo, tanto più sarà facile vivere la nascita e il percorso del parto con positività.

La produzione di latte materno

Il latte materno è un alimento di fondamentale importanza per la crescita e la salute dei bambini. Secreto dalla ghiandola mammaria a partire dai momenti immediatamente successivi alla nascita, ha la capacità di trasformarsi e modificarsi nel corso dei mesi e degli anni per poter essere sempre adatto alle necessità nutrizionali e metaboliche dei bimbi.

Ma vediamo meglio come funziona la sua produzione.

Durante tutta la gravidanza il seno materno compie numerose modificazioni e si prepara per la lattazione.
Già da qualche settimana prima del parto molte donne iniziano a vedere goccioline di latte (colostro) che fuoriesce dai capezzoli, ma la produzione vera e propria comincerà immediatamente dopo la nascita.

Con il parto e più precisamente con la nascita della placenta (secondamento), il corpo materno inizia a secernere grandi quantità di Prolattina. Grazie a questo ormone che, come dice il suo nome “Pro-Lattina”, lavora proprio “ a favore del latte”, la ghiandola mammaria produce colostro.

Il colostro è il primo latte. Ricco di acqua, vitamine, sali minerali, zuccheri, anticorpi, è in grado di aiutare il bimbo nell’adattamento ai primi giorni di vita. Inoltre favorisce la pulizia dell’intestino dal liquido amniotico e consente al piccolo di rimanere nutrito e efficacemente idratato.
Verso il terzo giorno di vita se il bambino ciuccia frequentemente e con efficacia, il colostro si trasforma in latte di transizione, maggiormente ricco di carboidrati e grassi rispetto al primo latte.
Sarà quindi nei giorni successivi e più precisamente tra i 4 e i 7 giorni dopo la nascita che, se adeguatamente stimolato, il seno inizierà a produrre il cosidetto latte definitivo, i cui i componenti sono perfettamente bilanciati per favorire la crescita e la salute a lungo termine del piccolo.

Ma dunque, cosa favorisce davvero la produzione di latte?
La risposta è: la suzione!
La suzione del bambino e la sua capacità di stimolare il seno sono gli elementi più efficaci e potenti per favorire la produzione di latte materno.
Ovviamente in collaborazione con il lavoro degli ormoni (prolattina e ossitocina), con il seno e con la volontà di allattare.
Allo stesso tempo è importante che lo stato emotivo della madre sia quanto più possibile rilassato e positivo e che le persone attorno siano supportive e di reale aiuto.
Ansia, agitazione, profondo disagio o persone che non sostengono la scelta materna sono generalmente grandi elementi di disturbo.

Perché la suzione del bambino attiva la produzione?
Quando il bimbo ciuccia, il contatto della bocca con il capezzolo e l’areola attiva nel cervello materno (più precisamente a livello dell’ipofisi) la produzione di prolattina e ossitocina.
Questi due ormoni hanno tra le loro funzioni quello di favorire rispettivamente la produzione e l’emissione del latte.
Non è magia, è un finissimo e complesso meccanismo che interessa il sistema nervoso e quello ormonale.
Funziona in tutte le mamme, ma ha bisogno di essere compreso e sostenuto affinché allattare sia un pochino più semplice.

E se io proprio non ho latte?
Tutte le mamme hanno il latte, la percentuale di coloro che non possono proprio produrlo è molto bassa (addirittura meno dell’1%)!
Se hai la sensazione di non avere latte forse la tua produzione potrebbe essere solamente scarsa, ma ci si può lavorare!
Per farlo è da valutare la poppata, l’attacco al seno, le vostre abitudini e i vostri ritmi.

Se hai difficoltà chiedi aiuto!
Informazioni chiare e aggiornate, un consiglio esperto e un po’ di supporto sono elementi fondamentali per un buon allattamento!

Le coliche del neonato: mito o realtà?

Le coliche neonatali sono un problema che pare affliggere gran parte delle famiglie nei primi mesi di vita del neonato.
Pianti e agitazione serale, aria e gambette che si tendono e tutti sono pronti a giurare che sia mal di pancia.
Ma ne siamo proprio sicuri?

Proviamo a fare chiarezza.

Punto 1.
Un neonato sano allattato al seno (o anche con il formulato) ha una discreta quota di aria all’interno dell’intestino. Questa aria, prodotta fisiologicamente in seguito alla fermentazione degli zuccheri contenuti nel latte non procura però, contrariamente a quanto si pensa, dolore.
Il dolore potrebbe esserci solo ed esclusivamente se l’intestino fosse irritato, cosa assai rara, fortunatamente, nella grandissima maggioranza dei casi.
Dunque, per riassumere: aria nella pancia non corrisponde a dolore alla pancia.


Punto 2.
I neonati piangono.
Lo fanno per comunicare e per attivare nella madre una risposta che garantisca loro cure, amore e di conseguenza la sopravvivenza.
Quando un neonato piange lo fa con tutto il corpo, con gambe, braccia, mani, volto. I movimenti sono agitati e nervosi e può capitare che in tale attivazione corporea il piccolo spinga e che emetta di conseguenza aria.
Tutto ciò non ha però nulla a che vedere con dolori di pancia o con la colica intestinale come noi adulti la intendiamo.
Riassumendo: fare aria mentre si piange non è segno di colica in atto.


Punto 3.
E’ vero che molti bimbi si agitano e piangono finché svuotano l’intestino per poi calmarsi e addormentarsi sereni. Questo concatenarsi di eventi (agitazione-→ cacca/aria → serenità riconquistata) non è tuttavia dato dal dolore intestinale, ma molto più probabilmente è correlata a fastidio e agitazione.
Al fine di comprendere meglio va ricordato che per un neonato anche una cosa apparentemente banale come il fare la cacca può non essere facile. Svuotare l’intestino prevede infatti una sequenza di attivazioni muscolari e rilassamento di sfinteri che, soprattutto in uno stato di agitazione, può risultare molto complesso da compiere.
Il benessere che talvolta segue non è dunque dato dal dolore alla pancia che vi era prima, ma quanto più dall’aver interrotto quel circolo vizioso creatosi tra il bisogno del piccolo di liberarsi e l’agitazione che lo impediva.
E’ da immaginare circa così: il bimbo deve fare la cacca → è però agitato → nell’agitazione non riesce a rilassare lo sfintere in modo efficace→ diventa sempre più irrequieto → ecc..
Quando il bimbo riesce a rilassarsi anche solo per qualche minuto ecco che avviene la magia!
(Si sconsiglia caldamente l’uso del sondino, non serve a nulla, ve lo spiego qua: https://www.ostetricamartinasarti.it/sondino-non-sondino/ )

Punto 4.
Come tutte le persone al mondo anche i neonati di sera sono più stanchi, più irrequieti, rielaborano gli stimoli della giornata. Ciò può dunque generare in loro agitazione che si esprime con – indovinate! – il pianto.
Cosa può quindi accadere? Può accadere ciò che è stato descritto al punto 2.
Agitazione e irrequietezza serale in risposta alla giornata trascorsa → pianto → attivazione corporea → il bimbo fa aria.
Ancora una volta non si tratta di mal di pancia, quanto più dell’attivazione corporea che dà come conseguenza il fare aria.

Punto 5.
Anche la madre sul far della sera è stanca e ha meno energie, è irrequieta o nervosa, è affaticata e provata dalla giornata passata interamente a prendersi cura del suo piccolo.
Può succedere quindi che il neonato, percependo l’affaticamento materno, possa di riflesso piangere in modo ancora più agitato, portando l’intera famiglia a sospettare per la sua salute o per chissà quale strano problema.
E invece no, talvolta l’intestino non centra: il neonato percepisce lo stato di disagio che vive la madre e, non avendo altri mezzi per elaborare queste sensazioni, piange e si innervosisce.
Non è nulla di strano, neonato e mamma sono profondamente connessi uno all’altra e più in particolare, questa è una tipica reazione data dal Dialogo Tonico.
(Ne parleremo più avanti o se volete, è abbastanza facile trovare informazioni.)

E quindi, ok, non è la pancia, ma più precisamente cos’è?
E’ talvolta il bisogno di contenimento, calore umano, sostegno, vicinanza.
E’ che nella stanchezza un neonato ha ancora più bisogno.
E’ che è difficile rielaborare gli stimoli della giornata e talvolta ci si agita.
E’ che la mamma ad una certa ha bisogno di una doccia e il bimbo ha bisogno di cambiare braccia.
E’ che i primi mesi sono di ambientamento e consolidamento della relazione e tutto avviene con calma, passando per tante gioie, ma a volte anche per qualche difficoltà.

State vicini!

A breve un articolo sulle strategie utili per la gestione delle colic… ehm.. delle serate difficili!

Sitografia:
https://www.uppa.it/nascere/neonato/coliche-neonato/
https://ilpartopositivo.com/2018/03/20/la-soluzione-definitiva-al-problema-delle-coliche/

Immagine: https://www.instagram.com/p/Bq5H_t1F5aG/

L’Ostetrica. Chi è? Cosa fa?

Ostetrica.
Subito tutti pensano a colei che assiste ai parti e accompagna le madri nella nascita del loro bambino.
Giusto, ma non è tutto.

Secondo la normativa vigente (tra cui è facilmente reperibile il profilo professionale e codice deontologico) l’ostetrica è la figura professionale che assiste e supporta la donna in tutte le stagioni, le fasi e le trasformazioni della vita.
Pubertà, età fertile, fase preconcezionale, gravidanza, parto, puerperio, allattamento, contraccezione, salute perineale, menopausa e così via.

L’Ostetrica, svolgendo secondo la normativa una professione intellettuale, è direttamente responsabile del suo operato, lavora in totale autonomia nella fisiologia o in collaborazione con altre figure professionali qualora sia necessario.

L’Ostetrica si occupa di assistenza, sostegno, educazione, informazione e prevenzione.

Può esercitare la professione come dipendente presso struttura pubblica o privata, o lavorare in regime di libera professione.

Tra le macro aree di competenza ostetrica troviamo:

  • pubertà
  • sessualità
  • ciclicità
  • prevenzione oncologica
  • gravidanza fisiologica
  • travaglio e parto fisiologico
  • salute pelvica
  • puerperio
  • allattamento
  • contraccezione
  • salute riproduttiva e preconcezionale
  • menopausa

“L’ostetrica/o riconosce la centralità della donna, della coppia, del neonato, del bambino, della famiglia e della collettività ed attua interventi adeguati ai bisogni di salute, nell’esercizio delle funzioni di sua competenza per la prevenzione, cura, salvaguardia e recupero della salute individuale e collettiva. “

Fonti:

Per un’esperienza di parto positiva

Il parto è un evento intenso e importante per una donna, per il suo bambino e per chiunque le stia vicino.

È una rivoluzione potente e profonda in cui si mettono in gioco tante risorse personali, emotive, fisiche, esperienziali e molto altro.
Affinché la nascita sia positiva è necessaria (come in tutto nella vita) una buona dose di fortuna.
Ma, non è l’unico ingrediente della ricetta! Può sembrare sciocco, ma la nascita non dipende solo dal caso, dal destino, dalla fortuna, da cosa capita quel giorno o dalla congiunzione astrale di quel momento.
Esiste infatti la possibilità di prepararsi e predisporre tutta una serie di elementi che possono aiutare e facilitare l’esperienza.

  • Scegliere il luogo
    Il luogo della nascita è un elemento di fondamentale importanza.
    Ogni donna, previa informazione approfondita (e non per sentito dire o leggendo sui forum e nemmeno per vicinanza geografica!) deve poter scegliere la soluzione in cui pensa di poter avere il parto che desidera.
    Ospedale? Casa maternità? Casa propria? Le possibilità sono varie e per tutti i gusti!
    A parità di sicurezza ogni luogo citato ha dei pro e dei contro e può proporre alcune soluzioni mentre non ne contempla altre.
    Importante è ricordare che il luogo che si sceglie deve garantire libertà, contenimento, attenzione ai bisogni, rispetto e cura (inteso come “prendersi cura”). Il parto infatti per le implicazioni ormonali e biologiche da cui è caratterizzato è un evento molto simile al fare l’amore. Esatto, avete capito bene: FARE L’AMORE! E sapete perché?
    1. perché gli ormoni coinvolti sono esattamente gli stessi (ossitocina, endorfine, catecolamine..).
    2. perché come per fare l’amore, anche nella nascita è necessario abbandonarsi alle sensazioni corporee e “disconnettere” la parte razionale della mente. 3. perché tanto la sessualità quanto il parto hanno bisogno di calore, accoglienza, libertà e non giudizio. E purtroppo in assenza di questi requisiti il rischio è che gli ormoni non riescano a “lavorare” come dovrebbero, a discapito dell’esperienza percepita.
    Pertanto ogni luogo che ospita la nascita dovrebbe essere per prima cosa INTIMO.
    E al contempo TRANQUILLO, ACCOGLIENTE, NON GIUDICANTE, NON DISTURBANTE e così via!
    Consiglio per tutte le donne: informatevi bene, guardate quali sono le possibilità esistenti e scegliete il luogo che vi sembra possieda queste caratteristiche!
  • Scegliere le persone
    Per un buon parto è fondamentale che la donna abbia accanto chi desidera, chi la fa sentire sicura, chi la fa sentire a suo agio.
    La funzione ormonale non è influenzata solo dal luogo, ma allo stesso modo dalle persone presenti.
    Ritornando al concetto di prima: sarebbe possibile fare l’amore con luci puntate e occhi che fissano, persone che entrano ed escono dalla stanza, mani guantate che sistemano sul corpo sonde e fili?
    La risposta credo sia NO! La nascita allo stesso modo è resa più difficile se vigono queste condizioni di disturbo e di poca privacy.
    Servono di contro cura, riservatezza, rispetto. Mariti/compagni, sorelle, amiche, ostetriche di fiducia, ostetriche ospedaliere: chiunque sia presente ha il dovere di muoversi in punta di piedi e con estrema delicatezza, custodendo e proteggendo quel che sta avvenendo, curando l’ambiente (spegnere luci, chiudere porte, limitare le interferenze ecc..), aiutando la madre nella gestione della contrazioni con massaggi, impacchi, sostegno fisico, coccole, vicinanza affettiva ed emotiva.
    Consiglio numero 2: pretendete ciò!
  • Preparare e prepararsi Preparare il parto significa comprendere le dinamiche che lo influenzano, informarsi in modo completo e approfondito su cosa aiuta e cosa interferisce, capire quali possibilità di nascita esistono, scegliere ciò che si avvicina al proprio modo di essere o che è nelle proprie corde, scrivere un piano del parto su cui mettere nero su bianco le proprie richieste e necessità.
    Prepararsi è invece avere fiducia in sé, scoprire o riscoprire le proprie competenze di donna e le proprie personali risorse, mettersi in comunicazione e in relazione con il proprio bambino, conoscere quali sono le sue competenze in gravidanza e al parto, parlare con il proprio compagno o con chi sarà presente alla nascita circa le proprie volontà e desideri, farsi accompagnare se serve in un percorso che aiuti a superare paure o dubbi.
    A volte esser seguiti da un’ostetrica durante la gravidanza o frequentare un corso preparto sono già ottime possibilità per preparare e prepararsi.
    Consiglio numero 3: non lasciate al caso, chiedete, chiamate, cercate, leggete. E se serve, scegliete una figura di riferimento che vi potenzi, che vi rinforzi, che vi aiuti a trovare fiducia, che vi faccia sentire protagoniste e al centro delle vostro percorso nascita.

E per concludere con una citazione in cui credo molto: “Un parto positivo rivela alla donna la sua forzaIl Parto Positivo

Diabete gestazionale: quando si esegue la curva da carico

Cos’è?

La curva da carico è un test di screening con cui si indaga la presenza di iperglicemia che determina una condizione comunemente chiamata  Diabete Gestazionale.

 

Perché “curva” ?
E “da carico”?

Il nome di questo esame si riferisce alle sue caratteristiche.
In primis è una “curva” poiché vengono richiesti alla donna tre prelievi con cui si doserà la glicemia e con cui si andrà a determinare una curva di valori.
“Da carico” perché viene somministrata una soluzione controllata di glucosio, esattamente 75gr e quindi si eseguiranno i prelievi nel momento in cui l’organismo è impegnato a metabolizzare tale quantitativo (il carico!) di glucosio.

Chi dovrebbe farla?

La curva da carico NON E’ UN ESAME DI ROUTINE e non deve essere fatta da tutte le donne in gravidanza.
Andrebbe prescritta ed eseguita solo ed esclusivamente in presenza di precisi fattori di rischio.

 

E quali sono questi fattori di rischio?

Eccoli qua!!
La curva da carico si esegue tra la 16esima e la 18esima settimana se presente almeno uno tra i seguenti fattori di rischio:

  1. Diabete gestazionale in una gravidanza precedente
  2. Indice di massa corporea pregravidico ≥30 (che sta ad indicare obesità)
  3. Valori di glicemia plasmatica compresi fra 100 e 125 mg/dl precedentemente o all’inizio della gravidanza

La possono eseguire invece più tardi, ossia tra la 24esima e la 28esima settimane le donne con almeno uno tra i seguenti fattori di rischio:

  1. Età maggiore o uguale ai 35 anni
  2. Indice di massa corporea superiore a 25 (che sta ad indicare un grande sovrappeso)
  3. Diabete gestazionale in una precedente gravidanza
  4. Una precedente gravidanza con bimbo nato più di 4500gr 
  5. Etnia a maggior rischio di insorgenza di diabete come ad esempio quelle dell’Asia meridionale o Medio Oriente
  6. Un parente di primo grado (genitori o fratelli) con problematiche di diabete di tipo 2

 

In presenza di uno o più fattori di rischio è indicato sottoporsi al test della curva da carico.
In assenza di fattori di rischio NON è in alcun modo indicato eseguirla.

 

Come funziona?

  1. Si esegue un primo prelievo venoso al mattino a digiuno con cui si dosa la glicemia di base.
  2. La donna viene quindi invitata a bere la soluzione di glucosio (75gr) in un tempo breve.
  3. Si ripete un secondo prelievo venoso a 60 minuti dal primo.
  4. Ed in seguito un terzo prelievo venoso a 120 minuti dal primo.

 

E l’esito?

I valori di riferimento sono:

  • Glicemia basale ≤ 92
  • Glicemia a 60 minuti ≤ 180
  • Glicemia a 120 minuti ≤ 153

Se uno o più valori risultano maggiori rispetto il valore di riferimento la glicemia si ritiene alterata ed è quindi possibile fare diagnosi di diabete gestazionale.

Se c’è diabete gestazionale cosa si deve fare?

Nella maggior parte dei casi è sufficiente controllare l’alimentazione e associare attività fisica, lavorando quindi su uno stile di vita sano.
In alcuni casi è necessaria una terapia farmacologica o insulinemica, ma sarà valutato con il professionista di riferimento o eventualmente con il centro diabetologico del territorio.

Se viene prescritta la curva da carico in assenza di fattori di rischio?

E’ possibile valutare con il professionista di riferimento che ha prescritto l’esame i motivi di tale proposta.
Sarebbe necessario capire bene i pro e i contro dell’indagine e i vantaggi e gli svantaggi che si possono ottenere eseguendola o rifiutandola.

E’ inoltre possibile documentarsi e raccogliere informazioni precise ed aggiornate presso numerose fonti autorevoli, tra cui:

  1. SAPERIDOC http://www.saperidoc.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/577
  2. La Review dell’Ostetrica http://lareviewdellostetrica.com/2017/07/26/diabete-gestazionale-secondo-le-linee-guida-nice-ada-dalla-diagnosi-gravidanza-al-post-partum/
  3. Il diabete gestazionale- documento di indirizzo http://aemmedi.it/wp-content/uploads/2017/01/FVG2014_Diabete_gestazionale.pdf

 

Foto: https://www.pinterest.it/pin/518054763370966962/

 

Come prendersi cura della ferita del cesareo

Così come si consiglia alle donne che partoriscono con parto spontaneo di avere cura del loro perineo, della loro vulva e vagina e di eventuali punti di sutura, allo stesso modo andrebbe indicato anche alle donne che partoriscono con parto cesareo di prendersi cura della loro cicatrice.

In che modo?
Esistono numerosi modi, tra cui i più semplici e accessibili consistono nel toccare l’area della cicatrice attraverso massaggi o semplici manipolazioni.

Il tocco infatti:

  • favorisce la circolare e l’irrorazione del tessuti accelerando la guarigione
  • previene la formazione di irrigidimenti o indurimenti della cicatrice
  • aiuta a ritrovare la sensibilità nella zona

Non è affatto raro trovare donne che facciano fatica a guardarsi, toccarsi, riconoscere la propria pancia dopo un parto cesareo.

I motivi di ciò possono essere di varia natura:

1. Associati a dolore, fastidio, sensibilità ridotta o aumentata della pelle e dei tessuti attorno alla cicatrice.

2. Associati ad aspetti emotivi o psicologici legati ad un’esperienza di parto diversa da quella che si immaginava o si desiderava.

Toccare e massaggiare aiuta il processo di guarigione su tutti i piani, sia su quello fisico, sia su quello psicologico, energetico ed emotivo aiutando tanto la riparazione dei tessuti, quanto la rielaborazione e l’integrazione dell’esperienza di parto nel vissuto personale.

Anche nel caso di cesareo programmato e/o desiderato l’intensità di certi momenti e della nascita in sé possono richiedere del tempo di rielaborazione e la cura della cicatrice può in ogni caso aiutare.

Il tocco e il massaggio ogni donna può farlo da sola, con le sue mani ed eventualmente con l’uso di un olio di mandorle o olio di ricino.

Si può iniziare qualche giorno dopo la dimissione dall’ospedale e continuare finché si ha piacere di farlo.

Inizialmente può essere utile farsi aiutare da un’ostetrica o un professionista di fiducia che può supportare, aiutare o spiegare i vari modi con cui è possibile massaggiare.

Valutando poi con l’ostetrica di fiducia il processo di guarigione e i tempi impiegati, si possono consultare, se necessario, anche altri professionisti competenti come ad esempio osteopati o esperti in armonizzazione delle cicatrici.

[Se ti interessa approfondire l’argomento cerca il libro “Guarire dopo il parto” di Claudia Sfetez.

Se ancora non conosci un’Ostetrica della tua zona una prova a cercare sul sito ostetricheitaliane.it]


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