Quel che non vi dicono sul ciuccio

Il ciuccio serve davvero? Cosa dobbiamo sapere? Come decidere di utilizzarlo in modo informato, consapevole e sicuro?

Tra gli oggetti/strumenti/accessori obbligatori in lista nascita, come regalo di un parente, come suggerimento da un amica.
Ovunque ne sentirai parlare, da chiunque “rischi” ti sia regalato tanto prima, quanto dopo il parto.
Parliamo di lui, sì, del ciuccio.
Quell’oggetto che pare d’obbligo, dovuto, ovvio da proporre ad un bambino, soprattutto se molto piccolo.

Ad oggi, possiamo affermare con certezza che questo accessorio in apparenza innocuo e tenero non è sempre “normale” e “benefico” e che quindi prima di essere offerto ad un neonato andrebbe conosciuto al fine di poterlo eventulamente utilizzare con consapevolezza e un pizzico di cautela.
E perché mai?

  1. Il ciuccio per quanto ergonomico, adatto alla bocca del piccolo, su misura e di materiali ottimi è sempre da evitare nelle prime 4-6 settimane di vita del bambino se si desira allattare al seno.
    Il motivo? Può interferire e compromettere l’allattamento!
    Ma capiamo meglio…
    Il neonato seppur nasca con la capacità di attaccarsi al seno, di succhiare e di deglutire necessità tuttavia di consolidare e allenare queste innate competenze.
    Se al neonato si offrono oltre al seno anche surrogati materni come ciuccio, biberon, tettarelle, paracapezzoli sarà per lui molto più complicato consolidare la competenza di un buon attacco al seno e di una suzione adeguata.
    Quando il neonato si attacca al seno, infatti, è importante che apra bene la bocca e che faccia un determinato movimento con la mandibola e con la lingua. Movimenti che poppata dopo poppata si abitua a compiere e a rinforzare. I vari surrogati richiedono invece una modalità di suzione, una posizione di bocca, lingua e mandibola diversa, motivo per cui, se nelle prime 4-6 settimane di vita al cucciolo è richiesto di succhiare oltre che al seno anche a ciucci/tettarelle/paracapezzoli si rischia di confonderlo.
    Un neonato confuso tenderà quindi ad attaccarsi al seno nella stessa (errata) modalità e posizione che utilizzerebbe attaccandosi al biberon o ciucciando al ciuccio.
    Questo errore, seppur possa parere piccolo e banale può tuttavia portare ad un allattamento, ad un attacco al seno e ad una poppata non ottimali, può causare ragadi, può causare un trasferimento di latte dal seno materno al bimbo non sufficiente o non adeguato.
  2. Succhiare al ciuccio può portare nel tempo anomalie di posizionamento dei denti come malocclusioni, morso aperto o morso incrociato.
  3. Succhiare al ciuccio può portare ad un inadeguato posizionamento e consolidamento delle strutture presenti nell’orecchio interno, può essere associato a disfunzioni della Tromba di Eustachio (condotto che collega l’orecchio medio alla faringe e che ha importanti funzioni per l’apparato respiratorio e quello uditivo) e può essere correlato ad un aumentato rischio di otiti nell’infanzia.
  4. L’uso del ciuccio e di qualsiasi surrogato materno fin dalla nascita non aiuta il rafforzamento della struttura muscolare della bocca, della mandibola e della mascella del bimbo.
  5. Alcuni studi sostengono che le infezioni gastrointestinali e le colonizzazioni orali da candida aumentano durante l’uso del ciuccio.
Per un uso consapevole


Si può affermare con certezza che l’utilizzo del ciuccio è una decisione e un’esigenza del genitore e non è mai una necessità o diretta richiesta del bambino.
Per chi non possa farne a meno qui di seguito qualche suggerimento per un uso ottimale:

  1. Si consiglia alle madri di evitare il ciuccio finché l’allattamento non sarà ben avviato ossia circa fino le 4-6 settimane di vita del bambino.
  2. E’ normale che un bambino abituato esclusivamente al seno possa rifiutare il ciuccio. Non è necessario forzare il bimbo, conviene più seguire “i suoi gusti” e le sue inclinazioni.
  3. Se si decide di usare il ciuccio il consiglio è di limitare l’utilizzo alle ore notturne, o ancora meglio al solo momento dell’addormentamento.
  4. Si sconsiglia di usarlo per rimpiazzare o ritardare le poppate.
  5. Il ciuccio non deve essere rivestito o immerso soluzioni dolci o zuccherine prima di essere proposto al bambino.
  6. Il ciuccio va pulito di frequente e sostituito
  7. Sarebbe preferibile smettere di usare il ciuccio attorno all’anno di vita del bambino per evitare l’insorgenza di problemi del cavo orale o dell’assetto dell’orecchio.

 

 

 

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Bibliografia e sitografia:
1. http://www.lllitalia.org/44-articoli-genitori/preoccupazioni-comuni/158-il-ciuccio-previene-la-sids.html

2.www.infermieristicapediatrica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=40:ciuccio-i-rischi-e-i-benefici-del-suo-utilizzo&catid=2:assistenza&Itemid=5

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Il viaggio del neonato: la nascita da un’altra prospettiva

La nascita.
Da un mondo accogliente, caldo, piacevole, senza fame e senza sete, senza bisogni o necessità.
Da uno spazio ovattato in cui i suoni sono presenti, ma attutiti. Dove le luci assieme alle ombre lo avvolgono morbide.
Da un luogo così arriva il neonato.

La dolce culla materna è il luogo in cui il piccolo vive per il periodo che solo lui decide.
Costantemente, è mosso dolcemente dal dondolio dei movimenti, ninnato dai suoni del corpo materno, massaggiato dall’utero che lo avvolge.
Finché un giorno, la sua permanenza nell’accogliente nido diventa forse un pochino più movimentata del solito.
La sua casa di pace inizia a muoversi attorno a lui, inizia a stringersi attorno al suo corpo.
Le onde dell’utero lo massaggiano, dapprima con un tocco lieve e via via con ritmo ed energia.
Il luogo che lo ha cullato, dondolato, riscaldato, protetto, nutrito e visto crescere inizia con calma e pazienza a salutarlo.

E non è mica facile. Il nostro piccolo comprende e accetta che sia il momento di andare, ma la strada per la nascita è impegnativa!
L’utero materno che si stringe attorno a lui lo sospinge con dolce fermezza verso il nuovo mondo.
Con fiducia e con impegno lo accompagna come a dirgli: “Va, ora puoi farcela!”.

Il cammino non è breve ed è un po’ tortuoso. Quante curve e giri e rotazioni deve fare per avanzare. Quanto impegno e dedizione!
“Quante cose interessanti ho visto in questo viaggio!”

Alla fine, dopo lo sforzo finale, eccolo!
In tutta la sua potente dolcezza. Nella sua tenera forma.

Il bimbo con la nascita si lascia alle spalle la vita che conosce, i rumori famigliari, le sensazioni note al suo corpo e alla sua mente.
L’ingresso nel nuovo mondo è per lui faticoso.
Non conosce quella cosa attraverso cui l’aria entra nel naso e gli percorre tutta l’area del petto fino ad arrivare nei polmoni.
Respirare? Lo chiamano così qui! Mai fatto prima d’ora!
Avverte poi un po’ di freddo. “Ma…cos’è questa nuova cosa? Aria? Dov’è l’acqua che avevo attorno? Forse si stava meglio là, ripensandoci!

Quante nuove sensazioni lo travolgono!
I confini attorno a lui scompaiono, quell’utero morbido che faceva da culla ha ceduto il posto allo spazio, aperto e infinito.
Apre le braccia, ma non tocca nulla, non sente nulla.
Dove sono finito?”, pensa spaventato.
Gli manca il margine, gli manca quel rassicurante limite attorno al corpo che lo faccia sentire contenuto.

E poi le luci, i suoni, i rumori. Gli stimoli sono forti. Sono diretti. Sono travolgenti.
Vorrei aprire gli occhi! Non so se ci riesco!

Ma presto un paio di voci note: “Vi conosco!
Ed una.. una in particolare è meravigliosa!
E’ lei, ne sono sicuro. E’ la mamma! Quante volte l’ho sentita mentre parlava, o cantava per me!

La madre allunga le braccia e il piccolo subito riconosce la mano, riconosce il tocco caldo e sicuro attorno al suo corpo.
La sensazione di benessere è immediata.

Il profumo di mamma lo invade.
Appoggiato al suo petto avverte quel suono ritmico e infinito, quel cuore pulsante e fiero che scandiva il tempo.
E’ quel battito che sentivo nell’altro mondo!

Il corpo della mamma profumato e caldo lo rilassa.
Finché un altro odore famigliare arriva alle narici del neonato.
Assomiglia molto al liquido che mi avvolgeva nella pancia! Sarà mai possibile? Da dove viene?
Curioso apre gli occhi e con pazienza si dirige verso l’origine, verso il seno materno.
Quel luogo di morbidezza e calore gli pare di conoscerlo da sempre.
Affondandovi il viso ritrova la pace dell’utero: il liquido caldo che la soffice sorgente offre è conforto e ristoro per il piccolo.
Quindi questo significa bere e mangiare? Pensavo fosse più facile!

E da quella prospettiva si perde per la prima volta negli occhi della mamma.
Ma allora sei proprio tu? Che bello vederti! Che bello affondare i miei occhi nei tuoi occhi! La nascita non è poi così male!

Lentmente la calma lo invade, la stanchezza del viaggio si fa sentire, sempre più pesante, sempre più presente.
Su quel suo corpo nuovo ma conosciuto, tra quelle braccia accoglienti ma robuste il piccolo, appena arrivato, si abbandona.
Forse ora capisco: sei tu il mio mondo, mamma!

 

In che modo si può partorire?

Le posizioni del parto

Nell’immaginario collettivo la posizione in cui la donna partorisce è quella ginecologica, detta anche litotomica. Anni e anni di racconti, immagini, libri illustrati, film portano senza dubbio a pensare che la posizione del parto sia quella sdraiata, con le gambe all’aria, le mani ben aggrappate a delle maniglie, il mento sullo sterno e possibilmente il respiro trattenuto.

Niente di più sbagliato!!

La posizione in cui la donna può partorire è sempre e solo quella che preferisce, quella in cui sta più comoda, in cui percepisce meglio il proprio corpo e le sensazioni correlate.

Numerosissimi studi dimostrano che se la donna è lasciata libera di muoversi, di cambiare posizione, di sperimentare e di trovare la modalità a lei adatta, il travaglio è più veloce, più facilmente gestibile e con esiti migliori per lei stessa e per il suo bambino.
Le contrazioni, infatti, con il movimento e i cambi di posizione, possono essere più intense ed efficaci con frequente e considerevole riduzione dei tempi del travaglio, ma al contempo la sensazione associata può essere meno dolorosa.

Inoltre, la donna che si è potuta muovere con libertà e che ha potuto decidere cosa fare, percepisce di aver avuto un ruolo attivo e protagonista, con ottimi esiti anche nella rielaborazione dell’evento nascita.

Dondolii, oscillazioni, movimenti rotatori, piccoli piegamenti, spostamenti dolci e ritmici del corpo, delle gambe, del bacino, del busto sono sempre utili e spesso graditissimi nella gestione delle sensazioni del travaglio.

Allo stesso modo durante il parto, ossia nel cosiddetto periodo espulsivo, la donna deve essere lasciata libera di decidere in che posizione assecondare le spinte e partorire, sotto la guida del suo corpo e delle sue sensazioni.
Non esiste una posizione corretta, non esiste una posizione più efficace: ogni donna, se libera di fare, trova la sua.
Importante è, tuttavia, se la mamma lo richiede, aiutarla e condurla nella scoperta delle varie opzioni possibili.
In piedi, accovacciata, sdraiata su un fianco, a carponi, aggrappata ad un supporto, appoggiata con le mani al muro, abbracciata al compagno, seduta su una palla, in ginocchio, semiseduta… Le possibilità e le varianti di ognuna sono così numerose che ogni donna può inventare e sperimentare!

Ad oggi si sa che l’unica posizione concettualmente errata per travagliare e partorire è quella ginecologica.
I motivi? Sono numerosi!
Per prima, cosa rimanendo a lungo supine il ritorno venoso non è favorito: l’utero con il suo peso può comprimere la vena cava, struttura che porta il sangue dalla periferia del corpo verso il cuore e che passa proprio posteriormente rispetto l’utero. In questo modo, se il flusso non è agevolato nel suo passaggio, l’irrorazione sia della madre, sia del bambino possono risentirne.
Inoltre, la staticità dello stare a letto non aiuta quei movimenti di gambe, busto e bacino importanti per il travaglio.
Va anche considerato che durante il parto avere le gambe all’aria e quindi la mancanza di appoggio sotto ai piedi non favoriscono la capacità di spingere della donna.
La posizione litotomica, come è evidente, non sfrutta la gravità, poiché il canale del parto, a quel modo, non è direzionato verso il basso ma verso l’alto.
Va ricordato che il neonato durante il suo passaggio verso il mondo deve compiere movimenti e rotazioni che gli consentono di adattarsi alla struttura del bacino e avanzare senza ostacoli. Un aiuto che gli si può offrire è quello di sfruttare il potere della gravità, cosa che stando sdraiate con le gambe alzate ovviamente non si verifica.

Importantissima da considerare, è anche la capacità mobile del bacino: seppur se lo si immagini spesso un blocco unico, il bacino è invece una struttura complessa formata da diverse ossa (pube, ileo, ischio) che prende rapporti con altre strutture complesse (osso sacro, coccige, femori) e numerosissime articolazioni.
Durante la gravidanza per effetto degli ormoni, le articolazioni del bacino si fanno ancora più morbide ed elastiche, consentendogli di acquisire ancor più mobilità rispetto la condizione pregravidica.
Al parto, la grandissima abilità di questa meravigliosa struttura è quindi quella di muoversi, spostarsi, aumentare e diminuire i suoi diametri in base alle necessità della madre e del bambino.
Se si costringe la donna a letto o alla staticità, i movimenti e spostamenti delle parti del bacino non si possono verificare efficacemente, che si può tradurre, per dirne alcuni, con un passaggio meno agevole per il feto nel canale osseo, una maggior difficoltà della madre nell’accompagnare la discesa del suo piccolo, un aumento delle tempistiche del travaglio e del parto.

La mamma deve avere la possibilità di sperimentare, decidere, provare, cambiare, ritentare, trovare la sua modalità. E in alcun modo andrebbe ostacolata. 

Il parto è un momento fondamentale e determinante per le vite della donna e del bambino. La nascita è per il piccolo una base per la sua futura affettività, la sua futura capacità sociale e ha altre molteplici implicazioni.
La maternità, seppur per numerose donne inizi molto prima della gravidanza, getta importanti basi e grosse radici al momento del parto.
Lasciare alla donna la libertà di scegliere, la possibilità di ascoltarsi, consentirle di essere, assieme al suo bambino e a chi la accompagna, la protagonista dell’evento nascita, ha benefici a breve e a lungo termine su di lei, sul piccolo e sulla famiglia.

La donna sa partorire.
Il suo corpo può parlarle, può guidarla, può dirle cosa è meglio.
E’ mamma. Puo’ farlo.

 

 


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